lunedì 14 gennaio 2008

RACCONTO AD INTERPRETAZIONE LIBERA..

- 18 NOVEMBRE -

Sentiva l’umidiccio penetrare nelle scarpe, farsi largo tra il cotone dei calzini per poi arrivare fino alla sua pelle. Era troppo tardi per fermarsi ormai, il ringhiare del cane sembrava sempre più vicino e i suoi passi sempre più lenti ed attardati. Come se non bastasse la pioggia riprendeva il suo lavoro sporco e cadenzato, il freddo iniziava a penetrare tra le pieghe della sua giacca aperta a metà.
Finalmente i fari. Finalmente la sagoma della Punto gialla diventava sempre più nitida.
Perché cazzo portava gli occhiali? Perché le gocce si depositavano proprio lì ad impedirgli la visuale? Non bastavano tutti i suoi guai ad appesantire la sua triste routine? Ci volevano anche pioggia, suole bucate e occhiali appannati a ritardare la sua corsa verso l’auto.
L’abbaiare della bestia infame sembrava sempre più lontano. Il suono ovattato dell’animale era schermato dalla carrozzeria della macchina di Stefano. Come quando la sirena dell’ambulanza sembra quasi stordirti per poi allontanarsi piano piano modificando volume e intensità.
<< Te lo ricordi l’effetto Doppler?>> mentre ancora ansimava per l’ennesima maratona forzata.
Stefano abbassò quel che bastava il finestrino e lanciò un mozzicone tenendolo tra le due dita
<< Mai sentito nominare>> e mise fino allo spiffero d’aria e alla corsa delle gocce che cercavano rifugio nella sua auto.
<< Mentre correvo, sentivo il cane abbaiare ma poi una volta entrato qui cazzo è cambiato tutto: volume, intensità. Non mi sembrava nemmeno più un pastore tedesco. E allora mi è venuto in mente che l’unica cosa che mi ricordo delle ore di Fisica al liceo era l’effetto Doppler. Hai presente quando senti il suono della sirena di un’ambulanza arrivare da lontano?>>
<< Paolo ma perché ci hai messo così tanto a tornare, non doveva essere una cosa del tipo vado e torno. Io qui non dovevo esserci lo sai>>
Ora sentiva l’umidiccio depositarsi sulla pianta del piede e il fastidioso rumore dell’acqua imprigionata nelle scarpe. Si ricordò in un istante della sua vasca da bagno. Gli piaceva un casino riempirla fino all’orlo a temperature altissime. Sarebbe rimasto ore sdraiato a mollo nei pensieri, ma c’era sempre lì sua madre a riportarlo alla realtà. Quanti schiaffi presi per il bagno allagato, quante volte aveva dovuto guardare le sue mani palmate, segno di un’immersione durata troppo a lungo.
Ora si immaginava lo stato dei suoi piedi, costretti nelle scarpe bucate di suo fratello, e non poteva fare a meno di sentire sul suo volto le mille sberle di sua madre.
<< Guarda che neanche io dovevo esserci qui lo sai, l’abbiamo fatto tutti e due per lei>>
Continuava a pulirsi con insistenza gli occhiali. Prima ci aveva provato col fiato e poi con l’orlo del giubbotto ma sembrava tutto inutile. Ma perché mai visti da fuori gli sembravano puliti e poi una volta sul naso non vedeva ad un palmo?
<< Oh, è inutile che continui co’ sti occhiali. Non hai capito che finché non ti fai vedere dall’oculista non ci vedrai mai bene>>
<< Ste, ma secondo te ci pentiremo di questa serata?>> La voce balbettante e fioca conteneva tutta la fragilità dei suoi 20 anni, i suoi dubbi, le sue incertezze e rimorsi.
<< Allora che sia chiaro una volta per tutte, io non mi devo pentire di un cazzo. Mi hai chiesto di accompagnarti e io sono venuto ma con questa storia non c’entro niente>>
<< Secondo te mi pentirò di quello che ho appena fatto?>>
<< Non avevamo più niente da perdere Paolo, il pentimento ce l’hai quando hai perso qualcosa. Dai scendi che io devo passare in lavanderia a ritirare i panni>>
Ma perché ogni volta frenava così forte e improvvisamente? Conosceva a memoria Corso Lodi eppure si riduceva ogni volta a fermarsi all’ultimo, togliendogli almeno tre mesi di vita ad ogni stop. Paolo scese dall’auto e poggiò il piede nell’ennesima pozzanghera della serata. ‘Se è vero che porta fortuna - pensò sorridendo – stasera mi sa che mi conviene fare il bagno in tutte quelle che incontro ’.
Infilò la chiave nella serratura del portone girando a destra e sinistra come un disperato. Non si ricordava mai da che lato si aprivano le porte e a volte era arrivato addirittura a spezzare la chiave all’interno. Quante volte suo padre gli aveva chiesto una mano per montare le mensole in cameretta, e quante volte gli aveva urlato nelle orecchie che così non avrebbe mai avvitato la vite, bisognava girare in senso orario. Ma Paolo era fatto così, gli piaceva improvvisare e tenere a memoria solo ciò che davvero gli interessava della vita. Era per questo che a 20 anni aveva difficoltà con chiavi, viti e lampadine da avvitare.
<< Ma tutte stasera mi devono capitare.. non potevi mandarmene qualcuna anche domani>>
Finalmente avvicinò lo sguardo alla chiave: aveva la targhetta blu, ovvero era quella del box. Sarebbe stato inutile forzare una chiave sbagliata nel momento sbagliato di una giornata sbagliata.
Tanto valeva sorriderci sopra recuperare la targhetta nera e trarre da questo episodio un piccolo insegnamento della giornata: ‘anche se sai da che lato girare, non è sempre detto che nella vita tu stia percorrendo la strada esatta. A volte il problema non sei tu, è la chiave.’

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